9 – OLTRE I CONFINI

6 Dic di editor

9 – OLTRE I CONFINI


Ora lo so: non è sempre vero che le scelte più sagge le compie chi ha i capelli bianchi. E nemmeno le più generose!

Mi chiamo Jack, sono un Siberian Husky e vivo in Italia. Qui tutti gli husky comunicano allo stesso modo dei nostri cugini rimasti in Siberia: moduliamo i nostri ululati al ritmo di parole che solo noi possiamo capire. Qualche volta ci piace abbaiare, ma solo per parlare con gli umani e la cosa di solito è fatica sprecata. Loro capiscono così poco della nostra lingua! Avevo sempre ritenuto che prima o poi qualche umano anziano mi avrebbe capito, ma mi sbagliavo. L’unico che abbia mai capito il linguaggio segreto degli husky è stato Aleksej.

Aleksej era un bambino bielorusso. I miei umani lo avevano adottato e divenne il mio nuovo padroncino. Già poco dopo il suo arrivo, Aleksej sembrava poter decifrare ogni movimento della mia coda. La cosa mi sembrava parecchio strana e così ne parlai con i cani del quartiere. Aleksej mi sentì ululare e uscì di corsa in giardino per togliermi ogni dubbio: “Tu sei mio amico! Certo che ti capisco!”.

All’inizio avevo creduto che Aleksej potesse capirmi perché originario di un paese più freddo dell’Italia ma, come mi fece notare Amanda, la vicina di cuccia, quello era un pensiero da esseri umani superficiali.

Durante un giro al parco il mio amico Tom mi raccontò che, secondo una antica leggenda, solo i bambini tristi potevano cogliere il linguaggio segreto degli husky. Se quella leggenda fosse stata vera, allora il mio amico Aleksej era triste e la cosa non mi piaceva affatto.

Una domenica pomeriggio, mentre fingevo di sonnecchiare, origliai i discorsi tra i parenti dei miei umani. Volevo scoprire se Aleksej fosse davvero un bambino triste. Mi resi conto che tutti facevano fatica a comunicare con lui. Mi sforzai di stare attento a ogni sfumatura delle loro parole e capii che Aleksej parlava una lingua diversa. Per noi cani le lingue degli umani sono tutte così simili che non avevo notato la differenza. Aleksej inoltre sembrava diffidare di tutti, tranne che di me e degli altri bambini.

Nel corso dei mesi per fortuna le cose cambiarono. Aleksej non solo aveva imparato l’italiano ma aveva iniziato a chiamare Mamma e Papà i miei umani. In loro aveva trovato degli adulti in cui credere e questo lo portava a sorridere spesso. All’inizio non lo faceva mai! Più il tempo passava, più Aleksei sembrava felice, ma capiva sempre meno quello che io tentavo di dirgli.

Desideravo tanto poter comunicare di nuovo con lui e, non sapendo come fare, invocai l’aiuto degli altri cani. Gli husky del vicinato si unirono al mio ululato per trasmettere la domanda al Saggio Siberiano. Di quartiere in quartiere l’ululato fu ripetuto dai cani nel nord della città, poi da quelli ancora più a nord. Il messaggio si spostò fino al Trentino, varcò i confini e prese il volo verso nord est fino ad arrivare in Siberia. La risposta del Saggio Siberiano fece il percorso a ritroso, si spostò di ululato in ululato, di confine in confine. Si soffermò sopra all’istituto in cui Aleksej era cresciuto, fece evaporare tutte le emozioni che Aleksej aveva provato e le portò da me. Quante cose avevo finalmente capito!

“Jack – disse il Grande Siberiano – Aleksej era stato deluso dagli adulti ma ora ha trovato dei genitori su cui contare. Tu lo hai aiutato a fidarsi di loro e questo ti fa onore”.

Mi sentii orgoglioso ma, ascoltando il seguito, mi rattristai.

“Devi scegliere Jack! Puoi lasciare tutto così oppure far sì che Aleksej torni a capire il nostro linguaggio. In questo caso il bambino non avrà più fiducia nei tuoi umani!”.

Ero molto giovane, ma sapevo quale fosse la scelta giusta.

Guardai Aleksej giocare a Monopoli con i genitori. Tutti e tre avevano negli occhi quella luce che solo chi è amato davvero può avere. Non avrei mai potuto spegnerla. Mi avvicinai a loro in cerca di coccole. Aleksej mise da parte il dado che stava per lanciare e mi riempì di carezze.

“Mamma, Papà – disse – questa sera dovremmo smettere di giocare. Jack ha bisogno di noi”.

Aleksej, che aveva solo sette anni, non poteva più capire linguaggio segreto degli husky ma comprendeva i miei sentimenti meglio di chiunque altro e, solo per me, quella sera aveva scelto di non giocare.


4 Commenti

  1. Il racconto scorre ed è interessante nel suo genere. Non riesce però ad essere compiuto poiché rinnega l’idea portante.
    Il superpotere del protagonista Jack, mai sfruttato per far procedere la trama, rimane un corpo estraneo, e compromette tutto il resto. Mi riferisco in particolare al «sacrificio» di Jack, che risulta sminuito dal fatto che è svolto passivamente. Una volta compresa la situazione grazie al Saggio Siberiano, infatti, egli non contribuisce attivamente all’inserimento di Aleksej nella sua famiglia adottiva; l’inserimento avviene senza spiegazioni e, anzi, è proprio l’evento che spinge Jack a chiedere lumi.

  2. Mi sembra che la figura del cane non riesca ad andare oltre il suo ruolo di correlativo oggettivo della profonda solitudine del bambino. L’aspetto fantasioso della lingua dei cani e del Grande Siberiano non viene sfruttato fino in fondo. Questi elementi, a guardar bene, non svolgono veramente un ruolo fondamentale nel cambiamento della condizione di Aleksej (si potrebbe dire piuttosto che essi evidenziano questo cambiamento). Se anche Jack non avesse fatto niente, mi pare di poter dire che alla fine il bambino si sarebbe comunque fidato dei genitori e avrebbe in ogni caso dimenticato la lingua dei cani. Il suo intervento deve essere risolutore in modo molto più evidente.

  3. Singolare, e da valorizzare, la scelta di coinvolgere il mondo animale e tratteggiare una storia delicata, e malinconica, di amicizia tra un bambino e un cane. Non è evidente però il collegamento con l’incipit: “Ora lo so: non è sempre vero che le scelte più sagge le compie chi ha i capelli bianchi. E nemmeno le più generose!”.
    Il perodiare è curato e piacevole

  4. Un po’ forzato il legame con l’incipit…
    Il racconto, di per sé, risulta piacevole. Una bella favola, con un lieto fine che mette ogni cosa al posto giusto. Un racconto fantasioso e delicato, che si legge volentieri, seppure senza grandi sorprese. Il finale veicola un bel messaggio: amore porta amore; era impensabile che la possibilità di amore fra il bimbo e i nuovi genitori rompesse il rapporto di affetto esistente fra il bimbo e il cane. Pur in forma diversa, l’affetto rimane e detta azioni generose e benevolenza. Ben scritto.

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