8 – LA PORTA DEL CIELO
“Tutta colpa della pastiera”
Alzo gli occhi dalla tastiera dell’ecografo.
“Mi hai chiesto perché sto con te da più di trent’anni, invece di divertirmi come le altre porte, e io ti rispondo: tutta colpa della pastiera”
Guardo mia moglie (che strano, usare quel termine, parlando di una creatura che il simbionte annidato nell’utero ha reso immortale, di bellezza sovrumana…eppure sì, moglie, e addirittura sposata in chiesa), cercando una spiegazione.
Lei ride (e attraverso la maschera dorata che indossa per non soggiogare con il suo fascino gli uomini ha il suono di risata di bimba)
“Avevi i capelli ricci e folti, avevi 27 anni. Non so perché, risaltavi, tra a gente, a quella festa. Ti volli. Mi avvicinai a te, mentre un silenzio carico di tensione calò sulla sala. Ti bloccasti, mentre incedevo. Sentivo il tuo cuore battere nel silenzio, il tuo odore farsi più intenso; mi avvicinai a te, feci per togliere la maschera…
“Perché?”, sentii alle spalle
Mi voltai, totalmente sconvolta. Risposi con alterigia sovrana: “Quest’uomo mi piace, prete. Lo voglio. Mi guarderà, vedrà il brillio delle nano sulla mia pelle, ne sarà soggiogato, sarà mio”
Lui non fece una piega
“Come uno schiavo? Come questa pastiera, così perfetta, così desiderabile con quel suo profumo di fiori d’arancio? Fatta solo per essere mangiata, così?”
E si mise un enorme pezzo in bocca, lo assaporò lentamente, voluttuosamente…Mostrandomi alla fine il piatto vuoto. Vuoto, capisci? Sto con te perché non sei una pastiera squisita che quando finisco di mangiarla non ce n’è più…e poi tra una quarantina d’anni finalmente schiatterai e allora…ahi, piantala di tirarmi i cuscini, essere inferiore! Sono immortale, non invulnerabile!”
La guardo sdraiarsi sul letto, alzare la veste amplissima che ne nasconde le forme.
Il robot si avvicina cigolando, alza con decisione la sonda, la poggia con sorprendente delicatezza sul ventre pregno di lei…
Le porte, di solito, non rimangono incinte.
Sono porte, appunto. Strumenti per teleportare il frutto del concepimento.
Se rimangono gravide, è perché un’altra porta è morta: un incidente, il più delle volte, o qualcosa di peggio.
“Andrea, piantala di stringermi la mano in quel modo e di guardarmi come un cane bastonato So a cosa stai pensando. Sì, so che se sono incinta è perché una porta è crepata, magari uccisa. No, non me ne frega niente. Non la conosco. Se la conoscessi, allora… ma non la conosco. Sai, invece, cosa è strano?”
“Cosa?”
“Tutti gli uomini che ho avuto prima di te, han sempre vissuto come una perdita non vedere il frutto del proprio seme svilupparsi nel grembo della loro donna, nascere, crescere. Tu dopo la prima volta che ci siamo amati hai aperto la finestra, hai guardato la notte, hai esclamato: ma ci pensi? Nostro figlio andrà lassù!”
Guardo l’immagine sul monitor, non lo giro verso di lei.
Che ovviamente capisce
Altre, avrebbero chiesto con voce strozzata “Cosa c’è? Fammi vedere!”
Lei no. E’ una porta, e soprattutto è Rosalia.
Le carezzo la mano destra, lentamente…
“Dovevamo capirlo, fin da subito, Rosi. Da quel primo messaggio degli Altri, quando ci spiegarono come fabbricare il simbionte, impiantarlo nel corpo delle donne, a cosa servisse…Ricordi?
(Buon Dio, sto chiedendo alla mia donna se si ricorda qualcosa avvenuto più di 1200 anni fa e lei fa cenno di sì, e piange…)
Giro il monitor verso di lei, mentre il gracchio degli allarmi comincia a perforarci i timpani…
“Dissero che sareste diventate porte, porte verso le stelle…”
“Cosa, cosa diavolo…”
“…e le porte fanno passare in entrambe le direzioni…”
Sullo schermo, l’immagine di una creatura.
Sembra volare, nell’amnios.
Ha un dito infilato in bocca, ma la testa è allungata, troppo.
Niente gambe, in compenso dietro la schiena quelle che, forse, sono ali sottili.
Lei alza la mano sinistra, accarezza lo schermo…
“Mio…figlio?”
“No, Rosi. Nostro figlio”
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