4 – LE VIOLE

22 Nov di editor

4 – LE VIOLE

Ricordo bene: quella giornata iniziò nel migliore dei modi, era mattina e venni al mondo in una cucina, tra il borbottio del caffè e le note di “Something stupid”.

La luce polverosa parlava di un sole raggiante e le tende svolazzavano di una brezza gentile che trasportava il profumo delle viole.

Son nato leggero, semplice e spontaneo come una pozzanghera quando piove.

Il mio papà era tanto orgoglioso, che decise di immortalarmi, ma non potendo per mia natura riuscire impresso su una pellicola, mi scrisse su un bel foglio di carta.

Non ho mai ricevuto un nome come quelli del calendario, ma di solito ci chiamano “desideri, intenti, propositi…”

Siamo di tanti tipi: quelli di una vita, quelli impossibili, quelli di settore come l’amore, l’ambizione, il denaro. Poi ce ne sono di loschi, illeciti, perversi, ma quelle sono altre storie…

Io son piccino, ma non per questo di poco conto. Mi definirei un “desiderio estemporaneo”, così, come ne nascono tanti, ispirato probabilmente da un momento di felicità.

Quando nasciamo, somigliamo ai bambini in due aspetti: non abbiamo malizia e non sappiamo dare un’età alle persone.

Guardavo il mio papà senza saper dire quanti anni avesse quell’ometto. Si muoveva adagio, ma fischiettava così bene, che mi metteva allegria!

Ricordo che arrivò una telefonata: “Sì? Urgente? D’accordo…”

Guardò l’orologio, poi mi prese tra le sue mani e con delicatezza mi piegò in due, riponendomi in verticale tra altri foglietti (meno belli di me).

Peccato, non vedevo più il sole e così flesso in due non sentivo l’odore delle viole. Intorno a me udivo parole ammonticchiate alla rinfusa “Ricetta… chilovatt… pane, latte…, Luisa” ed io stavo pensando a chi fosse Luisa, quando papà mi prese e mi piegò nuovamente, per poi ripormi nel taschino della sua giacca.

Mi piaceva star lì, era buio, ma sentivo il suo cuore.

Andammo nel suo ufficio a piedi ed io sbirciando fuori vidi i corridoi, le lampade, i tavoli e pensai che fosse più bella la cucina di casa.

Poi sul ritorno sentii un gran vociare, il suo cuore battere più forte ed un gran trambusto avvicinarsi.

Tolta che ebbe la giacca, mi ritrovai a spuntare pericolosamente dal taschino, quando uno scossone mi fece inevitabilmente cadere:

“Papà, papà!!” Gridavo per quanto potesse urlare un foglio piegato in quattro ”Papà, papà!!”, ma non mi sentiva ed io rimasi steso su un pavimento appiccicoso e freddo, tra tavolini, sedie e tutti quei grossi piedi che mi facevano paura.

Mi sentii sollevare da terra, riconobbi le sue mani e mi rincuorai.

Ero un po’ malridotto e qualcuno aveva impresso la sua impronta su di me, ma ritornato al sicuro, mi confortai nel mio vestito di fodera al battito del suo cuore.

Varcata la soglia di casa, vissi il momento più felice della mia vita: mi trasse dalla giacca e spiegatomi in tutta la mia ampiezza, mi lisciò con carezze così profonde e lunghe, che ne risi per il solletico.

Dio com’ero felice!

Poi mi tenne davanti a sé e ci guardammo in silenzio, fissi. In quegli istanti vidi i suoi occhi inumidirsi sotto le palpebre cedevoli e capii che il mio papà era ancora giovane.

Fuori il sole si spegneva piano come fosse stanco e la penombra avvolse tutta la stanza.

D’un tratto il naso di papà fece dei rumori rapidi e sconclusionati, svegliandolo di soprassalto.

Lesse di nuovo l’orologio e si sollevò con un profondo sospiro.

Quella sera guardò un libro senza leggerlo ed ascoltò canzoni senza fischiettare.

Io ero rimasto aperto sul tavolo.

Quando mi prese, mi ripiegò prima in un verso, poi nell’altro e andammo in camera. Feci appena in tempo a vedere una luna così grande da far paura, che mi depose nel cassetto del comodino.

“Ciao” mi sentii dire in quel buio,

“Ciao” risposi, “Chi sei?”

“Una lettera”

“È tanto che sei qui?”

“Sono arrivata per il tuo papà, che non era ancora primavera”

“E cosa volevi dirgli?”

“Ascolta…”

Porsi attenzione e nella notte che trascorse sentii molte parole, di cui ne ricordo solo alcune ammonticchiate alla rinfusa “Tanto tempo… caro… la tua… mi manchi… presto… mamma”

Suonò la sveglia ed io urlai “Papà, papà!!”, ma la sveglia continuava a suonare, “Papà, papà” nessuno fermava quella maledetta sveglia ed io soffocavo “Papà…” sentivo la mia voce spegnersi in un filo

“Papà… le viole… pa-pà… la non-na…”




3 Commenti

  1. Racconto originale, leggero e arguto. Il linguaggio semplice e delicato si sposa piacevolmente con il tono generale del racconto. Espressioni felici qua e là rendono la lettura piacevole (La luce polverosa parlava di un sole raggiante…; l sole si spegneva piano come fosse stanco …; una luna così grande da far paura…). Il finale triste, ma non straziante, rispetta l’equilibrio di insieme. Peccato per la frase “sentii molte parole, di cui ne ricordo solo alcune”, decisamente cacofonica…per la ridondanza dei partitivi

  2. Racconto molto dolce, grazie alla scelta davvero azzeccata di un narratore fuori dal comune. Se lo spazio a disposizione fosse stato maggiore, staremmo commentando il nuovo Inside Out!

  3. Linguaggio semplice, scorrevole, sobrio. Suggestiva l’attenzione ai sentimenti che a tratti lasciano intuire la speranza: <>. Discreto il riferimento, oltre che alle emozioni, ai sensi che le suscitano: <>. L’eleganza del tatto. Il modo in cui è scritto il testo fa incombere su tutto un vago sottofondo di dubbio e di dolore, prima da lontano poi da vicino, quando la storia arriva all’epilogo e inquadra meglio la sofferenza, in un’istantanea di parole che sono rimaste impresse su un foglio di carta.

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