24 – Filastrocca del vuoto e del pieno

28 Dic di editor

24 – Filastrocca del vuoto e del pieno

Iniziavano i primi freddi in un reame lontano

e la neve sui tetti ricadeva pian piano.

Uscì dalla casa un picciol bambino,

appoggiato al braccio un vecchio cestino,

di nulla riempito e ciò sai perché?

Di bocche da sfamare ce n’eran ventitré.

Non v’era polenta, carne o un po’ di pane,

e le speranze di mangiare ormai erano vane.

Inviarono il piccolo a fare provviste,

armato soltanto di volontà e audacia mai viste.


La madre gli disse “Non andare nel bosco”

ma lui nel folto vi s’infilò tosto tosto.

Il padre gli disse “Vai per la tua strada!”

ma lui si fermò quando vide una spada.

Non stava nella roccia né in una mano tesa,

ma nella carne putrescente laddove era lesa.

Il sangue sgorgava dalla fonda ferita

e il cervo restituiva alla terra la sua vita.


In un ultimo alito al bimbo egli disse

“Un cavalier spavaldo alla fine mi vinse.

Gli avevan detto nascondersi nel bosco,

un mostro gigante pronto a farlo arrosto.

Partì rigonfio d’armi e tracotanza,

menando fendenti come fosse una danza.

Partì sicuro della gloria futura,

agitando le lame a mascherar la paura.

Udito un rumore, si girò di scatto,

lo sguardo atterrito di chi non era pronto affatto,

senza nemmeno sapere chi avesse davanti,

urlando mi piantò la spada nei fianchi.


Quando s’accorse che la preda era quella sbagliata,

cercò di ritrarre dalle carni la spada.

Non fece in tempo, il cavalier, a compier l’azione,

alle sue spalle un drago aveva fatto apparizione.

Le scaglie verdi, le ali spiegate,

solo le ceneri ne aveva lasciate.

Il giovin signore era del tutto sparito,

dal fuoco mostruoso completamente investito.

Io a terra rimasi col fianco dolente,

dove tu mi hai trovato, quasi morente”.


“Come posso aiutarti, mio povero amico?”

“Estrai la spada, fai come ti dico”.

Così il bimbo fece e quello spirò,

il sangue la neve di rosso macchiò.

“Estrai la spada e avrai ricompensa”

e appena lo fece, la sorpresa fu immensa:

di pane, di carne e di tanta polenta

il cestino era pieno, pronto per la dispensa.

Lo raccolse da terra il bravo bambino,

in una mano la spada, in una il cestino.

E mentre faceva per riprender la strada,

un rumore sentì dove la verzura era rada.


Gli apparve dinnanzi un drago enorme,

quanto tre uomini eran grandi le orme.

Ruggì forte, la bocca spalancò

e in un sol boccone il bimbo ingoiò.

Restarono a terra il cestino e la spada,

la neve intonsa, nemmeno spostata.

E sebben la preda sembrasse già digerita,

poco tempo passò che fu risputata.


“Che sapore schifoso che ha questo qui!

È fatto solo di ossa, non mi sazierà così!”

Il piccino ancora intero ma ricoperto di bava

di quel che era successo non capiva una fava.

Ma la fame, eh sì, quella assai la capiva,

e allora la mano tese pien di saliva

verso il vecchio cestino stracolmo di cibo,

porgendolo a quei che gli era stato nemico.

Lo guardò negli occhi scuri e ci si vide riflesso,

udì il brontolio del ventre di chi l’ha vuoto spesso.

Gli disse “Forse questo ti darà soddisfazione”

invece che ingaggiar con la spada una tenzone.


Si stupì il drago e raccolse il dono,

mangiò tutto quanto e poi chiese perdono.

Si sorprese il mostro e gustò le vivande,

mai nessun gli aveva fatto un favore assai grande.

“Hai dimostrato altruismo, bontà, gentilezza,

guadagnandoti l’accesso alla mia ricchezza”.

Così sentenziò il verde bestione,

e già lo conduceva alla sua segreta magione.


Varcata la soglia, un ampio stanzone

d’oro e diamanti illuminava il bagliore.

“Puoi prendere tutto, perché accumularlo?

Se poi quando ho fame, non posso mangiarlo?”

“Ti sbagli, caro drago, ti posso aiutare

con questo denaro il cibo vo’ ad acquistare”

Ritornò al reame da cui era partito,

comprò quel che ai suoi cari sarebbe servito,

e anche al drago da cui sarebbe tornato,

dopo che la famiglia avesse sfamato.


Bussò tre volte alla porta di casa:

la madre gli disse “Che creatura strana”.

Batté tre volte il pugno sul muro:

il padre rispose “Come te non conosciamo nessuno”.

“Datemi dell’acqua e qualcosa per lavarmi,

che son vostro figlio posso dimostrarvi”.

Dalla faccia tolse la bava il bambino

e mostrò loro il vecchio cestino.

Seguirono abbracci, baci e racconti,

E vissero tutti felici e contenti.


La fiaba è finita, concluso è il mio canto,

Coraggio bambini, della nanna è il momento

Le pance ancor vuote ma i cuori ripieni

Le menti ferventi di avventure e ardimento

È così che anche oggi arriviamo a domani

Sognando sia meglio, siamo esseri umani.


Valutazioni Giuria

24 – Filastrocca del vuoto e del pieno – Valutazione: 27

Gaia:
Apprezzo il coraggio di una scelta originale, quanto ardita. Il componimento non è perfettamente armonico dal punto di vista metrico e, qua e là, anche dal punto di vista stilistico. La narrazione non è sempre fluida, come ci si aspetterebbe da una filastrocca. Il contenuto, tuttavia, è simpaticamente creativo e coinvolgente, con un lieto fine particolarmente soddisfacente (anche il “mostro” viene redento dalla bontà del bimbo), per nulla moraleggiante.

Matteo:
Filastrocca davvero godibile e con alcune trovate liguistiche molto divertenti. Vi sono però dei passaggi in cui la metrica è incerta e la rima non viene rispettata. Credo che questi siano elementi fondamentali che non possono non essere presi in considerazione.

Paola:
Mio caro autore accludo anche te, fra coloro i quali han seguito De Andrè. La piccola ballata è ben scritta (inciampa un po’ nelle spire della metrica) e soprattutto il contenuto è quello delle fiabe tradizionali. Bella ‘idea e buona, nel complesso, la realizzazione

Pietro:
Non sono un esperto, ma a orecchio la metrica inciampa spesso. E siccome la scorrevolezza è forse la caratteristica principale di una filastrocca, qualche colpo di lima avrebbe giovato.
Nulla da dire invece sul contenuto, appropriato (a parte la rima bava-fava), originale e ben concatenato.