20 – TUTTA COLPA DI UNA H

25 Nov di editor

20 – TUTTA COLPA DI UNA H

Ricordo bene, quella giornata iniziò nel migliore dei modi…

-Tutto ok? – mi chiese mia madre versando il caffè nella sua solita tazza. Era una squallida giornata di novembre quando, pigiando il primo tasto del cellulare, ero andata in cucina con gli occhi ancora stracolmi di sonno ed ero inciampata giù per le scale. – Ho freddo e un gran mal di testa – risposi a mia madre. Pochi istanti dopo era già pronto il termometro. 38.2. Mi infilai di nuovo sotto le coperte mentre lei era già al telefono con il dottore. – Aspettiamo qualche giorno per il tampone Covid-19, quattro o cinque saranno sufficienti, nel frattempo antibiotico e cortisone – rispose con protocollo identico ad ogni telefonata per un’adolescente febbrile.

La tachipirina favoriva quei pochi momenti di sonno che riuscivo a godermi. – Dottore, ha fatto la richiesta così porto mia figlia al drive trough?- chiese mia madre. – Ora lo mando poi deve attendere la telefonata della Asl – rispose lui sempre con parsimonia. Mia madre, cercando quel poco autocontrollo che le era rimasto, gli disse – Grazie, mi raccomando lo faccia oggi pomeriggio -.

Contravvenendo alle indicazioni della chiamata, andammo subito a fare il tampone che risultò positivo. Era ormai trascorsa una settimana ma non avevo ancora cenni di miglioramento. Venni segregata nella mia camera senza avere contatti con gli altri componenti della famiglia. Lontano dai litigi dei miei genitori e dai capricci di mia sorella, ero finalmente libera di vivere il mio mondo, e nessuno poteva entrarci. Il servizio in camera era scadente ma intanto non dovevo apparecchiare con quella stramaledetta tovaglia di lino che mia madre si ostinava ad usare tantomeno dovevo sopportare i dispetti di mia sorella perennemente impegnata a spezzarmi i nervi. Ero finalmente libera.

Mi era stato dato, inoltre, in gentile concessione, il velocissimo computer appena acquistato. Netflix era ormai mio.

Dopo una settimana di reclusione le mie condizioni di salute non miglioravano. Voltaren iniezioni era l’unica brutale medicina che in quel momento mi potesse evitare la follia mentre tentavo di essere brillante nelle chat. Spesso mi addormentavo con il telefono tra le mani e mi risvegliavo di notte leggendo di qualche amica che mi avvertiva di errori grammaticali fatti sui social. – Non scrivere se stai male – mi aveva detto una sera Alessandra. Ma era troppo tardi. La gogna dei social si era già attivata pronta a mettere sul patibolo un verbo avere senza h.

– Correggi!! – insisteva lei. In preda al mal di testa mi ritrovai a modificare alcuni post che nel frattempo erano stati fotografati e già fatti circolare nelle chat della scuola. Tutto il liceo ginnasio ormai conosceva i miei errori, come poter rimediare? – La bella mora del liceo classico che non sa scrivere – avevano pubblicato alcune.

Non avevo più le forze per rispondere. Un paio di notti mia madre, dopo una crisi respiratoria, era rimasta sveglia per misurarmi l’ossigeno nel sangue. A volte piangevo per quello che mi stava accadendo e questo aumentava ancora di più l’emicrania.

Dopo due settimane il tampone era ancora positivo e a ventuno giorni dal primo sintomo sarei di nuovo stata libera. Mancava una settimana ma le mie gambe non mi reggevano nemmeno per fare le scale e scendere in cucina per bere un maledetto bicchiere d’acqua.

Dovevo fare qualcosa sul social ma cosa?

Scrissi questo: – Essere ancora viva dopo una battaglia mi permette di dire che sono una persona fortunata. Quanti possono scrivere su un come sto facendo io in questo momento? Pochi e quei pochi sbagliano accenti e apostrofi stando comodamente con i piedi di fronte al camino e non al buio con le meningi infuocate e il cuore che sta tentando di combattere tra la vita e la morte -.

Breve, conciso con la foto di una fata che tenta di spiccare il volo. La bella scrittura aveva vinto.

Dopo una settimana non mi ero ripresa completamente ma la mail del Comune mi rendeva libera di contagiare quante più vite umane si fossero avvicinate alla mia persona.




3 Commenti

  1. Certamente il racconto riesce a trasmettere la rabbia e il nervosismo della protagonista, ma è difficile comprendere quale sia il punto focale della vicenda.
    Il confine tra racconto e sfogo emotivo a briglia sciolta si rivela in questo caso molto labile e anzi viene spesso superato.
    La qualità della scrittura è molto altalenante.

  2. Una trama un po’ fragile… Un accostamento poco riuscito: il Covid e le cattiverie adolescenziali sulle chat… Il commento finale della protagonista sui social un po’ trionfalistico risulta decisamente fuori luogo. La conclusione sarcastica del racconto lascia un po’ di amaro in bocca…
    Il dettagliato dialogo mamma/dottore appesantisce la narrazione. Non ci sono elementi di rottura, imprevisti o picchi che stupiscano e coinvolgano…
    Il linguaggio è piuttosto scarno.
    L’incipit non è allineato al racconto: la giornata iniziata bene…e una caduta dalle scale…???

  3. Racconto semplice e scorrevole legato all’attualità dell’emergenza sanitaria e all’uso dei social che in qualche modo sostituisce il sociale, il virtuale per il reale.
    E’ in questo mondo che la protagonista si trova quasi reclusa, imprigionando la sua fragile adolescenza tra le quattro mura della sua camera per un tampone positivo.
    L’epilogo è forse scontato e la storia termina in un modo vago, ma non male, e comunque la ragazza riesce a trovare spiragli di luce anche all’interno della sua paura e nel dolore di una situazione nuova.

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