18 – La seconda casa
Ricordo bene: quella giornata iniziò nel migliore dei modi, nonostante la devastante nottata precedente.
Mi svegliai aspettandomi un mal di testa lancinante dovuto alle poche ore di sonno e alla crisi di pianto avuta la sera prima, quando mi ero presentato a casa del mio migliore amico spiegandogli che mio padre mi aveva sbattuto fuori intimandomi di non farmi più vedere. O forse dovrei dire il mio patrigno, dato che quell’uomo aveva sposato mia madre qualche anno prima in seconde nozze e mi aveva odiato fin dal primo istante. Mia madre però non riusciva a tirare avanti da sola e poichè lui non aveva mai alzato un dito su di me, limitandosi all’abuso verbale, lei credeva che dopotutto la situazione non fosse così grave. Avevo quasi diciott’anni e presto me ne sarei andato al college, lontano. Un problema in meno per me… e per loro.
“Ehi, sei sveglio?”
La voce di Jack mi destò dai miei pensieri. Era in piedi vicino alla porta della stanza degli ospiti, già vestito, con in mano una tazza di caffè bollente che mi porse. “Ho parlato con i miei. Puoi rimanere qui finchè vuoi. Mio padre ha detto che parlerà con i tuoi, così non devi incontrarli faccia a faccia se non ti va.”
Provai immediatamente un forte moto di gratitudine nei loro confronti. I genitori di Jack, Mr. e Mrs. Morrison, erano persone favolose che mi avevano sempre trattato come un figlio: trascorrevo quasi più tempo a casa loro che dai miei, fin da quando Jack ed io frequentavamo la scuola elementare.
Ma non potevo imporre la mia presenza in quel modo.
“Grazie… ma dovrei tornare prima o poi. Credo che ora si sarà calmato.” Non pronunciavo mai le parole mio padre riferite a quell’uomo, perchè non era tale. Nemmeno per un minuto l’avevo mai percepito in quel modo.
“Chris, non è un problema, sul serio. Puoi fermarti quanto vuoi.”
Ero tentato, in realtà. Ma mancavano ancora due mesi alla fine del liceo, poi c’era l’estate, e poi l’università. Non potevo rimanere così a lungo da loro.
Ma se solo avessi saputo cosa mi avrebbe aspettato a casa al rientro non mi sarei mosso da casa Morrison.
Quell’uomo non diede segno di essersi accorto della mia presenza quando entrai in soggiorno, un paio d’ore più tardi. Mia madre sedeva sulla sua poltrona preferita ed era intenta a sferruzzare all’uncinetto, il suo solo e unico passatempo, e aveva un occhio nero.
Non era una novità. Ma non accadeva nemmeno spesso. Quante volte le avevo chiesto di lasciarlo? Ovviamente venivo sempre sistematicamente ignorato da lei.
“Christopher, dove sei stato?” chiese mia madre, alzando a malapena lo sguardo dal suo ricamo, forse in imbarazzo per la propria condizione, o forse per la mia.
“Dove vuoi che sia stato? Da Jack,” risposi piccato, come se già non lo sapesse. Era la mia seconda casa e anche quella dove avrei voluto nascere e crescere, con genitori affettuosi e presenti.
“Non ti avevo detto di non rimettere piede qui?” Lui si alzò in piedi, fissandomi con astio, come se fossi una presenza malevola che contaminava tutto ciò che si presentava sul suo cammino. “Prendi la tua roba e vattene.”
Osservai mia madre con la coda dell’occhio. Continuava a sferruzzare.
Non potevo credere che davvero le importasse così poco di me.
Ma potevo percepire la stanchezza che emanava da ogni poro.
“Va bene. Tra un’ora sarò fuori di qui.”
Salii al piano di sopra e iniziai a fare i bagagli.
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“Chris?”
Sorrisi appena, indicando i borsoni alle mie spalle, vicino all’ingresso. “Dopotutto mi piacerebbe rimanere. Contribuirò alle spese col mio lavoro part time.”
La madre di Jack sorrise e mi avvolse in uno degli abbracci più caldi, un abbraccio materno, dolce e profumato. “Non ce n’è bisogno. Bentornato a casa.”
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