17 – IL SEI VERTICALE

8 Dic di editor

17 – IL SEI VERTICALE


“Ora lo so: non è sempre vero che le scelte più sagge le compie chi ha i capelli bianchi”.

Rileggo ad alta voce l’ultima frase di questa lettera e, sinceramente papà, avrei sperato in un finale diverso.

Qualcosa che mi restituisse una tua versione migliore, una specie di redenzione, ma a questo punto mi arrendo.

L’ultima immagine che ho di te risale a ieri: avevi gli occhi chiusi, dormivi, e nonostante questo cercavi di scrocchiarti le dita, un tuo vecchio vizio.

La penultima invece risale a quarantotto anni fa, era mattina presto, eri in ginocchio, i tuoi occhi nei miei e mi sembravi un gigante accucciato, con il dopobarba secco che pungeva il mio naso bambino. Il mio cuore batteva forte, il rumore faceva a gara con le ossa delle tue dita. Doveva esserci anche Susy, ma chissà perché nel mio ricordo non c’è.

È stata lei, in tutti questi anni, a tenere un minimo di rapporti con te. Lei mi ha detto che ti lamentavi che non ti avessi mai scritto. Lei mi ha aperto una mano e ci ha messo dentro un biglietto con scritto “piano secondo, stanza 284”.

L’ho appallottolato, ma non l’ho buttato.

Ieri ho fatto i due piani dell’ospedale a piedi, fermandomi più volte per riprendere fiato.

I corridoi erano deserti, dalle stanze non giungeva neppure un lamento. L’unica differenza con i cimiteri, ho pensato, erano i sottofondi bassissimi delle televisioni.

Mi sono affacciato alla 284 e, se non fosse stato per il nome fuori dalla stanza, non ti avrei riconosciuto. Il tuo viso era sbarbato come quarantotto anni fa, ma l’odore che aleggiava era quello del disinfettante e i tuoi capelli pettinati all’indietro erano bianchi come il cuscino.

Mi sono avvicinato, cercando di far coincidere l’immagine del gigante accucciato e quella del pierrot che mi trovavo di fronte. Mi sono seduto e ti sono restato accanto per un’ora mentre tu non hai fatto altro che dormire. Ironica sintesi del nostro rapporto, vero papà?

Nella stanza tutto era al posto giusto, persino le pieghe del lenzuolo che avevi rimboccato con cura.

L’unico particolare asimmetrico era una settimana enigmistica che sbucava da un angolo dal comodino. Sulle caselle nere del cruciverba, in copertina, c’era un sottilissimo strato di polvere.

L’ho presa in mano, mancava solo il 6 verticale e l’ho terminato per te. Era facile, chissà perché non l’hai finito.

Sopra di me pendeva la flebo e gocciolava a una lentezza inquietante. Sembrava scandire il tempo che ti (o forse ci) restava.

Poi c’è stato quell’attimo in cui hai provato a scrocchiarti le dita e il mio cuore è rimbalzato come non accadeva da quel giorno. Ma era un falso allarme, non ti sei svegliato. Sarebbe stato complicato anche per te trovarmi lì vero papà?

Infine è arrivata Suzy a darmi il cambio.

Sei morto stamattina e sono tornato nella 284 per raccogliere le tue cose.

Dalla finestra si spandeva una luce piatta e grigia. Il tuo letto era ancora disfatto: ho poggiato una mano sul lenzuolo che copriva il materasso e, ovviamente, era freddo.

La flebo pendeva immobile ed era vuota.

Ho svuotato il tuo comodino: un pacchetto di biscotti aperto, due caramelle al rabarbaro, le ciabatte; curioso, avevi solo il 42.

Nel cassetto ho trovato questa lettera. Non so per chi la stessi scrivendo ma l’ho aperta lo stesso. Sai papà, mi sarei accontentato di una scusa, una tua banalissima bugia auto assolutoria. Mi ci sarei aggrappato per dirti addio.

Invece in queste due pagine hai scritto di te, solo di te e poi, alla fine, quell’accenno a Susy che, nonostante tu non fossi d’accordo, ti ha convinto a farti ricoverare. Te lo confermo, tua figlia è più saggia di me e di te. Per questo sono convinto che almeno lei meritasse qualcosa di più di un commiato tanto banale. Di certo pensavi di cavartela, di avere tempo per sistemare le cose in sospeso. Questa fuga non l’hai organizzata bene come l’altra sai?

Alla fine comunque ti sto scrivendo, hai visto?

Ah, giusto per chiudere il cerchio. Il 6 verticale, la più famosa locuzione latina di Orazio, no, non te la dico, sarebbe una facile ironia in questa situazione. Ho trovato un tuo capello bianco sulla federa e l’ho raccolto. Ora è nel mio portafoglio. Se arriverò ad avere quel colore in testa non mi farò trovare impreparato. Almeno questo me lo hai insegnato. Addio papà.


4 Commenti

  1. La delicatezza del racconto viene meno nel finale.
    L’accenno al passato di padre e figlio («Questa fuga non l’hai organizzata bene come l’altra, sai?») è esile, con il risultato che il lettore, invece che addentrarsi ancora di più nella storia, si sente escluso da un discorso privato. Così anche la lettera del padre, da cui tutto ha inizio, rimane avvolta nel mistero: perché (e a chi) avrebbe dovuto scrivere solo di sé. Infine, esplicitare la natura del testo («Alla fine comunque ti sto scrivendo, hai visto?) mi sembra superfluo.

  2. Racconto nel complesso buono, ma che, a mio parere, ha un difetto fondamentale. Viene a mancare quasi del tutto uno dei fattori più importanti: la figura del padre. Non riusciamo a capire che genere di persona sia, cosa esattamente abbia sbagliato nella vita. E’ assente il co-protagonista, che fin dall’inizio esce di scena.

  3. Una storia di dolore, di rancore forse, tracciata in maniera delicata. La storia di una padre che, pur avendo i capelli bianchi, non è saggio e di una figlia, Susy, che lo è e dà al protagonista la possibilità di dire “Addio”. Il riferimento all’incipit non è immediato ma gode di un suo spazio narrativo.
    Lo stile, alternando periodi lunghi e brevi, garantisce un buon ritmo narrativo

  4. Un racconto azzeccato, in riuscita armonia con l’incipit.
    La narrazione è coinvolgente, scorrevole, interessante.
    Il finale non è scontato, anche se annunciato fin dall’inizio: “Qualcosa che mi restituisse una tua versione migliore, una specie di redenzione, ma a questo punto mi arrendo.”…
    Forse senza questa anticipazione ci sarebbe stata più attesa…
    Il racconto si legge volentieri, mentre i particolari della storia padre/figlio si svelano gradualmente. Il finale è calzante, con quel “carpe diem” al quale il padre ha decisamente disubbidito! Ben strutturato, ben scritto, piacevole.

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