16 – FORMICHE

24 Nov di editor

16 – FORMICHE

Ricordo bene: quella giornata iniziò nel migliore del modi, mi svegliai circondata dal profumo di plumcake che la sera prima avevo preparato in vista della colazione, dalla tapparella filtrava una luce fioca, il braccio che avevo lasciato fuori dal piumone per tutta la notte era gelato e sentivo il gatto fare le fusa ai miei piedi.
Luca era già uscito per andare al lavoro, occupai anche la sua parte di letto, è una delle cose che mi piace fare quando rimango sola, riconquistare i miei
spazi, mi ricorda quando vivevo da sola nel minuscolo monolocale in Porta Romana. Guardai la sveglia frettolosamente e mi rigirai verso la finestra, stava piovendo. Erano le 8.32, improvvisamente realizzai che era molto tardi e che evidentemente la sveglia non era suonata.
Mi catapultai fuori di casa in circa 15 minuti, prima di mettere il piede fuori
dall’uscio mi resi conto che Luca prima di uscire aveva lasciato il tavolo pieno di briciole, ma ormai era troppo tardi per sistemarle.
Non avendo trovato l’ombrello, indossavo una mantella gialla molto buffa che catturava gli sguardi divertiti di molti passanti. Quella mattina non solo non avevo trovato l’ombrella ma, non trovando neanche un taxi libero, iniziai a correre verso la fermata del tram. Seduta davanti a me una ragazza sulla quindicina fissava il mio impermeabile, ormai completamente fradicio, dal quale scendevano lentamente delle goccioline di pioggia, io incurante continuavo ad ascoltare gli Smiths nelle cuffiette.
Arrivata davanti all’ufficio mi ricordai il motivo per cui, quella mattina, la mia sveglia non era suonata, quel giorno il mio ufficio era chiuso per “problemi tecnici”, così diceva il cartello che campeggiava tra gli avvisi sulla bacheca all’ingresso.
Milano era brulicante di persone, colorata dagli ombrelli e bagnata dalla tipica pioggia autunnale, quella che la mia nonna chiamava “la brûma”, quella che ti bagna anche se hai l’ombrello e ti ritrovi con i capelli gonfi e i pantaloni fradici appena metti il piede fuori casa.
Rientrai a casa a piedi, passeggiando per le vie della mia città, stanca feci i miei soliti quattro gesti quotidiani: aprii la porta, appoggiali le chiavi di casa nello svuotatasche, salutai il gatto e andai verso il frigorifero per bere un bicchiere d’acqua.
Lì, sul piano della cucina vidi una vera e propria invasione di formiche, camminavano disordinatamente alla ricerca di qualche briciola dimenticata e ne trovarono tante, visto il disastro che aveva lasciato Luca. Probabilmente una formica accortasi del lauto bottino chiamò alla carica l’intero formicaio che in questo momento campeggiava sul piano della mia cucina.
Scoppiai a piangere, le formiche sono la mia unica vera fobia, iniziai a tremare, il respiro si fece corto e il senso di nausea cominciava a fare capolino. Ero troppo arrabbiata per chiamare il colpevole di tutto questo disastro così quando Luca tornò dal lavoro mi trovò seduta sul divano che fissavo la cucina con la ChanteClair in mano.
“Ma sono solo formiche!”
“No, mi fa orrore avere delle formiche nella mia cucina, le detesto!”
Passammo la notte ad uccidere formiche, io cercavo di debellarle facendole annegare nello sgrassatore e Luca rideva guardandomi.
Dopo una lunga lotta la nostra cucina tornò libera e pulita, noi ci sedemmo sul divano e cademmo in un silenzio malinconico, le nostre mani si intrecciarono e le mie erano molto più fredde delle sue. Luca mi avvolse la coperta e si accoccolò sul mio petto.
“Tra una settimana vado via, se dovessero tornare le formiche dovrai ammazzarle da sola”
“Non ci saranno più…”
“Non ci sarò neanche io…”
Silenzio.
Lì, in quell’istante, mi resi conto di avere una fobia ancora più grande delle formiche.




3 Commenti

  1. A tratti la scrittura, nel complesso buona, potrebbe essere più attenta e curata.
    Non mi convince molto l’incipit. A mio parere questa storia, per funzionare davvero, dovrebbe esordire fin da subito dall’invasione delle formiche.
    Oltre a questo, la forte distrazione manifestata dalla protagonista (belle le idee dell’ombrello e dell’ufficio chiuso) dovrebbe fin da subito essere fatta risalire, anche solo velatamente, alla partenza ormai prossima dell’innamorato. Meglio non riservare tutta la spiegazione per il finale.

  2. Una trama un po’ banale, infantile…
    Si susseguono una serie di particolari poco coinvolgenti: il tavolo lasciato con le briciole, la dimenticanza dell’ombrello..
    Il fulcro del racconto ha del tragi-comico: un’invasione di formiche che diventa tragedia per la fragile protagonista…. Un po’ eccessivo. Infelice il contrasto fra la fobia della ragazza e il palese disinteresse del “colpevole” fidanzato, che addirittura ride… Grottesca la “lunga lotta” per debellare l’invasione…. Poco allineato il finale…

  3. Testo scorrevole e lineare che tratta scene di vita quotidiana. Dalla semplicità dell’invasione di una colonia di formiche l’autore ha saputo trarre una descrizione sufficientemente particolareggiata, leggera, che diverte: smentita dal finale che piomba tutto nella fobia più grande dell’abbandono.
    Un finale all’improvviso che scuote le certezze e dà un senso di vagamente triste e pesante all’epilogo: la narrazione ci arriva lentamente e in silenzio ma basta una frase a cambiare la storia. Non male anche l’immagine della metropoli milanese immersa nel solito vortice di traffico e foschia.

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