11 – La scelta per cena

8 Dic di editor

11 – La scelta per cena


Ora lo so: non è sempre vero che le scelte più sagge le compie chi ha i capelli bianchi. La mia lunga, e logorante, giornata lavorativa si era appena conclusa con l’ennesima riunione dell’ufficio marketing sugli ultimi studi di mercato. Ero distrutto dalla stanchezza e il pensiero di rientrare in una casa vuota se da una parte mi dava la possibilità di godermi un po’ di quiete, dall’altra mi avviliva per non poter vedere le persone che amavo. Mia moglie e i nostri figli erano partiti per la casa in montagna e li avrei raggiunti solamente nel weekend. “Qualche giorno di vita da single mi farà bene.” avevo ingenuamente pensato. Ma, dopo soli due giorni passati nel silenzio tra quei muri, iniziavo ad avere dei dubbi al riguardo.
Dovevo anche fare la spesa se volevo cenare quella sera. Il centro commerciale vicino a casa era spuntato con le sue mille luci nel mezzo della nebbia di questa uggiosa giornata dicembrina. L’aria era talmente carica di umidità che mi ritrovai col viso bagnato appena sceso dall’auto. Un brivido mi corse sulla schiena.
Fortunatamente avevo trovato un parcheggio libero proprio davanti all’ingresso principale ed il caldo, generato dal potente impianto di climatizzazione, mi aveva avvolto subito dopo l’entrata.
La luce intensa, la stucchevole musichetta natalizia che avrebbe dovuto essere solo di sottofondo ma che a quel volume non ti permetteva neanche di pensare, la massa rumorosa (per forza di cose per cercare di sovrastare la musica) di persone in cerca dei regali per l’imminente festività avevano immediatamente accentuato il mal di testa che mi accompagnava dal pomeriggio. Dovevo sbrigarmi ad andare a casa a prendere un’aspirina.
Iniziai ad aggirarmi tra le corsie del reparto alimentari senza avere memoria di cosa mi servisse e neanche un’idea di che cibo volessi mangiare. Misi nel carrello alimenti dei generi più disparati: yogurt greco, biscotti al cioccolato, pomodorini, datteri, grissini.
Ormai avevo deciso di andarmene quando ti vidi. Avevi la pelle tesa e lucente, le pupille nere e brillanti, la tua carne era soda e compatta.
Bastò uno sguardo ed eri già mia. Ti caricai in macchina e in 5 minuti arrivammo a casa mia. Aprii una bottiglia di un Franciacorta rosè con delicati sentori floreali e con un gusto morbido e fresco che tenevo per le occasioni come quella che si stava creando.
Accesi il fuoco sotto una pentola in cui avevo messo a soffriggere in un olio ligure particolarmente fruttato uno spicchio di aglio di Voghiera, a cui subito dopo aggiunsi dei pomodorini datterini, delle olive taggiasche e dei capperi di Pantelleria. Volevo darti il meglio e trattarti come era giusto che fosse.
Mentre per la casa inizia a spandersi il profumo di quel condimento così saporito presi a degustare un bicchiere di vino, era fresco, delizioso e stuzzicante per le mie papille gustative già ingolosite da quell’intingolo che cucinava sopra il fornello. Adesso anche tu avevi trovato il tuo posto e io non vedevo l’ora di saziarmi di te. Apparecchiai la tavola come nei migliori pranzi festivi di famiglia.
Sento suonare il timer, è pronto. È arrivato il nostro momento. Impiatto velocemente, ormai la brama è al culmine. Silenzio anche il cellulare. Adesso siamo solamente io e te e nessuno ci può disturbare. Avrei dovuto assaporare il momento con calma, invece la foga mi ha fatto dimentico di tutto e mi butto su di te senza riguardo né ritegno. Se avessi usato la testa e non mi fossi fatto prendere dalla golosità mi sarei accorto che qualcosa in te non andava bene. Magari avrei sentito quella lieve alterazione che mi poteva salvare da una notte insonne accampato in bagno. Eri bellissima ma eri avariata, maledetta orata.


4 Commenti

  1. La sorpresa finale funziona alla grande. Molto divertente.
    C’è però un cambio di marcia tra la prima parte del racconto e la seconda che pare irreale e, dunque, per niente credibile: non appena avvistata la preda, il protagonista si trasforma in un attimo da marito che soffre la lontananza a latin lover. Per non rischiare di perdere il lettore, sarebbe meglio dare continuità al personaggio, magari mostrando il nostro seduttore dapprima titubante, quindi spaventato dal suo stesso lato oscuro e della facilità con cui si abbandona a esso.

  2. La rivelazione finale, per come è adesso, non funziona. Perché il gioco (molto divertente) riesca, è necessario seminare maggiori indizi durante la narrazione. Il lettore deve capire che c’è qualcosa di strano. Altrimenti il testo, almeno a una prima lettura, risulta poco chiaro.

  3. La costruzione del racconto, in un crescendo di ambiguità e desiderio, è efficace e crea un’aspettativa che trva un felice epilogo nell’ironia quasi grottesca della conclusione.
    Peccato per il fatto che l’incipit e la sua coesione con il resto del testo si siano persi nell’andar delle righe.
    Salvo qualche verbo nelle prime righe, sul piano stilistico la narrazione è ben costruita

  4. Decisamente poco coerente con l’incipit del quale non c’è traccia nella narrazione: peccato!
    Il racconto è spiritoso, anche se la prima parte risulta un po’ noiosa, probabilmente per l’eccesso di dettagli poco significativi (il parcheggio davanti all’ingresso, l’impianto di condizionamento…). Una piccola nota: il verbo cucinare NON è intransitivo! (“quell’intingolo che cucinava sopra il fornello”). Il verbo giusto sarebbe stato “cuoceva”…. A parte questa svista, la lingua è corretta. La narrazione a volte un po’ lenta…

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