10 – Lo schiaffo
Ora lo so: non è sempre vero che le scelte più sagge le compie chi ha i capelli bianchi.
“Slap!” era partito uno schiaffo. Difficile comprendere chi dei due fosse più stupito.
Gianni, il figlio quindicenne, avvertì un forte bruciore alla guancia sinistra, ma il dolore più acuto lo sentiva al cuore umiliato e incompreso. Quell’unico e violento attentato alla sua dignità di essere umano, avrebbe lasciato un segno indelebile nella sua complicata esistenza di adolescente. Sostenne fieramente lo sguardo del padre, ma il suo abbozzo di sorriso si trasformò in un ghigno beffardo, poi, per nascondere una inaspettata lacrima, uscì dalla stanza sbattendo la porta.
Carlo, il padre, rimasto solo si sentì annientare da un pesante senso di colpa. Aveva percepito odio e disprezzo. Come in uno specchio rivide se stesso mentre incrociando gli avambracci cercava di proteggersi dalla mano callosa e pesante di suo padre che in questo modo rivendicava onore e rispetto verso il capofamiglia e ribadiva il concetto a suon di botte. Come in un cortometraggio in bianco e nero, aveva ancora nelle orecchie l’eco dei suoi singhiozzi inconsolabili, raggomitolato dietro il divano, e le urla di un padre all’antica. Nella sua infanzia aveva respirato paura e solitudine, il silenzio sottomesso che non ammette contraddittorio.
Carlo si lasciò cadere mollemente sulle ginocchia. Il freddo pavimento aumentò quella sensazione di gelo all’anima. Si sentiva un fallito, una nullità. Era venuto meno al suo giuramento. Fin dal primo giorno che lo aveva tenuto tra le braccia si era ripromesso di non fare gli stessi errori del suo “vecchio”, ma lo avrebbe amato, ascoltato e reso felice. Fino ad allora c’era riuscito. Certo, il mestiere di genitore non è così facile!
Non voleva giustificarsi trovando alibi al suo comportamento: stava attraverso un periodo nero, molto stressante. Il lavoro non rendeva più; c’era il mutuo da pagare, si sentiva sotto pressione e poi quella richiesta inopportuna del figlio: un motorino nuovo.
A un certo punto sentì l’esigenza di uscire di casa. Si ritrovò sulla strada umida e luccicante sotto il riverbero dei lampioni. Camminò a capo chino senza meta. I suoi piedi lo condussero davanti alla clinica dove era ricoverato il suo anziano padre, che non vedeva da tanto tempo, da quando sua madre era morta. L’infermiera lo fece entrare anche se l’orario delle visite era già trascorso. Il padre sprofondato sulla poltrona non aveva più quello sguardo terribile paralizzante e che lo aveva fatto crescere fragile e insicuro, come una pianta in una crepa di cemento. Ora, il più forte era lui! Gli si accoccolò accanto come non aveva mai fatto. In quel momento avrebbe desiderato essere percosso, fu allora che il pugno del “vecchio” si aprì ad una carezza, l’unica che avesse ricevuto. Parlarono a lungo e si confidarono. Quando uscì sentì di essere un uomo nuovo, capace di perdonare e di perdonarsi.
Giunto a casa, il figlio era già a letto. Era convinto che lo strappo non si sarebbe ricucito con qualche battuta spiritosa o cedendo alle sue richieste. Tenendo fede alle sue meditate scelte educative decise di metterlo al corrente di tutto, comprese le sue difficoltà economiche. Il ragazzo era voltato di schiena e faceva finta di dormire. Il padre non ottenendo alcuna risposta, fece per rialzarsi deluso, ma venne bloccato da un vigoroso abbraccio e sentì sussurrare: “Papà, ti voglio bene”.
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