10 – Lo schiaffo

6 Dic di editor

10 – Lo schiaffo


Ora lo so: non è sempre vero che le scelte più sagge le compie chi ha i capelli bianchi.

“Slap!” era partito uno schiaffo. Difficile comprendere chi dei due fosse più stupito.

Gianni, il figlio quindicenne, avvertì un forte bruciore alla guancia sinistra, ma il dolore più acuto lo sentiva al cuore umiliato e incompreso. Quell’unico e violento attentato alla sua dignità di essere umano, avrebbe lasciato un segno indelebile nella sua complicata esistenza di adolescente. Sostenne fieramente lo sguardo del padre, ma il suo abbozzo di sorriso si trasformò in un ghigno beffardo, poi, per nascondere una inaspettata lacrima, uscì dalla stanza sbattendo la porta.

Carlo, il padre, rimasto solo si sentì annientare da un pesante senso di colpa. Aveva percepito odio e disprezzo. Come in uno specchio rivide se stesso mentre incrociando gli avambracci cercava di proteggersi dalla mano callosa e pesante di suo padre che in questo modo rivendicava onore e rispetto verso il capofamiglia e ribadiva il concetto a suon di botte. Come in un cortometraggio in bianco e nero, aveva ancora nelle orecchie l’eco dei suoi singhiozzi inconsolabili, raggomitolato dietro il divano, e le urla di un padre all’antica. Nella sua infanzia aveva respirato paura e solitudine, il silenzio sottomesso che non ammette contraddittorio.

Carlo si lasciò cadere mollemente sulle ginocchia. Il freddo pavimento aumentò quella sensazione di gelo all’anima. Si sentiva un fallito, una nullità. Era venuto meno al suo giuramento. Fin dal primo giorno che lo aveva tenuto tra le braccia si era ripromesso di non fare gli stessi errori del suo “vecchio”, ma lo avrebbe amato, ascoltato e reso felice. Fino ad allora c’era riuscito. Certo, il mestiere di genitore non è così facile!

Non voleva giustificarsi trovando alibi al suo comportamento: stava attraverso un periodo nero, molto stressante. Il lavoro non rendeva più; c’era il mutuo da pagare, si sentiva sotto pressione e poi quella richiesta inopportuna del figlio: un motorino nuovo.

A un certo punto sentì l’esigenza di uscire di casa. Si ritrovò sulla strada umida e luccicante sotto il riverbero dei lampioni. Camminò a capo chino senza meta. I suoi piedi lo condussero davanti alla clinica dove era ricoverato il suo anziano padre, che non vedeva da tanto tempo, da quando sua madre era morta. L’infermiera lo fece entrare anche se l’orario delle visite era già trascorso. Il padre sprofondato sulla poltrona non aveva più quello sguardo terribile paralizzante e che lo aveva fatto crescere fragile e insicuro, come una pianta in una crepa di cemento. Ora, il più forte era lui! Gli si accoccolò accanto come non aveva mai fatto. In quel momento avrebbe desiderato essere percosso, fu allora che il pugno del “vecchio” si aprì ad una carezza, l’unica che avesse ricevuto. Parlarono a lungo e si confidarono. Quando uscì sentì di essere un uomo nuovo, capace di perdonare e di perdonarsi.

Giunto a casa, il figlio era già a letto. Era convinto che lo strappo non si sarebbe ricucito con qualche battuta spiritosa o cedendo alle sue richieste. Tenendo fede alle sue meditate scelte educative decise di metterlo al corrente di tutto, comprese le sue difficoltà economiche. Il ragazzo era voltato di schiena e faceva finta di dormire. Il padre non ottenendo alcuna risposta, fece per rialzarsi deluso, ma venne bloccato da un vigoroso abbraccio e sentì sussurrare: “Papà, ti voglio bene”.


4 Commenti

  1. Non mi è chiaro il motivo che lega il racconto all’incipit: alla fine è proprio il più vecchio di tutti a fare la scelta più saggia, rompendo la catena generazionale.
    A parte questo, trovo solo una leggerezza: che Carlo, dopo aver schiaffeggiato il figlio, non si diriga intenzionalmente da suo padre ma ci si ritrovi. La casualità rischia di non rendere onore al disegno complessivo del racconto.
    Il finale potrebbe essere tagliato, perché facilmente intuibile, e lo spazio così guadagnato potrebbe esser usato per approfondire e rendere più drammatica la scena del ricongiungimento tra Carlo e suo padre.

  2. Mancano i dialoghi. La risoluzione tra genitore e figlio (presente due volte) non può essere semplicemente raccontata. Deve accadere sulla scena per essere percepita come reale dal lettore. Il cuore caldo del racconto deve essere esplorato.

  3. Il racconto, anche se con una trama già scontata, è lineare e ben costruito. Tuttavia non è così evidente l’incipit: “Ora lo so: non è sempre vero che le scelte più sagge le compie chi ha i capelli bianchi”. In realtà sembra che la saggezza di tutti i personaggi adulti sia aumentata con il passare degli anni e li abbia resi capaci di stamperare il rancore.
    Sul piano stilistico, il racconto è lineare e scorrevole

  4. La saggezza non è risultato automatico del passare del tempo: questo pare dirci l’autore di questo racconto. Un testo immediatamente comprensibile a chi esercita il difficile compito di genitore, faticoso, affascinante, che costringe a mettersi continuamente in discussione. Il vecchio padre è capace di una carezza solo alla fine dei suoi giorni, il giovane padre riesce a capire i propri errori, il figlio, apparentemente il più saggio dei tre, è capace di ascolto e di comprensione!
    Semplice, molto reale, ben scritto.

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